Dall’inizio del 2024 si susseguono numerosissime notizie sui tagli al personale nel settore dei videogiochi, da appassionato credo sia lecito chiedersi cosa stia accadendo e se c’è realmente da preoccuparsi.
A dirla tutta, questo fenomeno ha iniziato a rotolare come un macigno a tutta velocità già dal 2023, travolgendo studi di grossa e media entità come:
Unity Technologies: 265 dipendenti (fonte);
343 Industries (Microsoft): 95 dipendenti (fonte);
Electronic Arts: 6% dei dipendenti (fonte);
Niantic: 230 dipendenti e la chiusura del suo studio di Los Angeles (fonte);
Volition: chiuso lo studio in seguito al fallito accordo da 2 miliardi di dollari di Embracer Group (fonte);
Ubisoft: 54 dipendenti e la chiusura del suo studio a Londra (fonte);
Epic Games: 16% dei dipendenti (fonte);
Bungie: 100 dipendenti (fonte);
Amazon Games: 180 dipendenti (fonte).
Insomma, questi sono soltanto alcuni degli sviluppatori e degli editori interessati, senza prendere in considerazione tutte quelle realtà - che dipendono direttamente da essi - che si sono ritrovate inevitabilmente nell’occhio del ciclone.
Sono uno di quelli che nel 2020 si è rifugiato nella grande e pomposa bolla dei videogames per combattere l’estrema noia nonché le restrizioni dovute alla pandemia COVID-19, e nella totale libertà dagli impegni sociali, ho macinato una moltitudine di titoli e scombussolato il mio ritmo circadiano.
Quante altre persone hanno adottato lo stesso tipo di intrattenimento? Le case di sviluppo avranno notato questa cosa? La risposta, ovviamente, è positiva.
Dal 2020 al 2022 circa vi è stato un boom di investimenti nel settore dell’intrattenimento, anche da parte dei venture capitalist i quali hanno fiutato nei videogames la perfetta mucca da mungere.
Questa corsa all’oro ha portato le aziende ad espandersi eccessivamente, alimentando aspettative irrealistiche di crescita continua e lasciandole poi impreparate all’inevitabile rallentamento del mercato; cosa che avvenne intorno al 2023.
Gli investitori quindi, sentito il campanello di allarme, hanno dirottato i loro capitali altrove spinti da rendimenti più sicuri. A fronte di ciò le case di sviluppo e gli editori hanno deciso di riconsiderare le loro strategie e cercare nuove fonti di redditività, si è quindi dato il via ad un walzer di progetti cancellati, tagli di organico, acquisizioni di nuovi giocatori ed aumenti delle entrate da quelli già fidelizzati seguendo le tendenze emergenti.
Oltre a ciò, come si riesce a stare dietro ad un numero così spropositato di titoli “imperdibili”?
Per esperienza personale è quasi impossibile, i videogiochi che passano tra le mie mani sono spesso complessi e necessitano di un certo quantitativo di ore per essere completati.
Vorrei inoltre sottolineare l’attuale propensione a dedicare quasi tutte le ore libere del giorno a quei titoli pensati come “servizio”, ovvero tutti quei successi duraturi come Fortnite, Call of Duty, Ovewatch, Dota 2, League of Legends e compagnia danzante, che rendono difficoltosa l’emersione dei nuovi videogiochi.
La maggior parte delle entrate del settore, infatti, si concentra su un numero limitato di titoli consolidati, mentre gli sviluppatori più piccoli hanno difficoltà a trovare finanziatori per i loro nuovi progetti.
In poche parole, se ci soffermassimo davanti ad un acquario per un lungo periodo, noteremmo dei pesci della stessa specie diventare sempre più grossi e minacciosi mentre quelli più piccoli scomparirebbero perché divorati dai primi.
Talvolta l’unica ancora di salvataggio per gli studi più piccoli, a fronte di costi di produzione sempre più alti, è quello di fondersi o farsi acquisire; ciò comporta un cambiamento radicale nel panorama videoludico poiché riduce la diversità degli “attori” nel settore ed implica i tagli che abbiamo visto in questi ultimi mesi.
I videogiochi non stanno morendo, parte dei licenziamenti erano stati annunciati più o meno in anticipo, altri potrebbero essersi concretizzati sfruttando questa situazione di generale instabilità; in generale sembra che il settore videoludico abbia preso male la mira sull’obiettivo e che adesso, nel 2024, la stia correggendo con delle conseguenze ineluttabili:
Twitch: 500 dipendenti (fonte);
Discord: 170 dipendenti (fonte);
Behaviour Interactive (Dead by Daylight): 45 dipendenti (fonte);
CI Games: 10% dei dipendenti (fonte);
Riot Games: 11% dei dipendenti (fonte);
People can fly: 30 dipendenti (fonte);
Microsoft: 1.900 dipendenti (fonte);
Eidos Montreal: 97 dipendenti (fonte);
SEGA of America: 61 dipendenti (fonte);
Sony Interactive Entertainment: 900 dipendenti (fonte);
Electronic Arts: circa 670 dipendenti (fonte);
Take-Two Interactive: 5% dei dipendenti (fonte).
Stiamo assistendo ad una evoluzione del settore che, come ben sappiamo, non è sempre sinonimo di qualcosa di positivo ma forse è ancora presto per dirlo. Tuttavia un dubbio continua ad aleggiare nella mia testa, ovvero se esiste ancora un modo sostenibile di sviluppare i videogiochi senza correre rischi eccessivi.