Da tempo sento l’esigenza di scrivere qualcosa sull’importanza di determinati titoli multigiocatore e sull’impatto che questi possono avere nelle nostre vite.
So bene quanto il mio pensiero possa sembrare eccessivo visto dall’esterno ma sono certo che tra voi lettori ci sia, anche in minima parte, qualcuno che in tenera età si alternava ad un amico/a per superare un livello particolarmente ostico o che passava le ore a guardare in silenzio un’intera sessione di gioco svolta da altri.
Questi ricordi ci legano nostalgicamente ad un preciso momento della nostra vita, certamente, ma anche a determinate compagnie e senza alcun dubbio ai videogames; quante volte può capitare di pensare ad un vecchio titolo ed esclamare “Hey, quel gioco l’ho provato nel ’99!” e mentre lo diciamo lasciamo scorrere una serie di fotografie mentali su dove ci trovavamo, con chi, per quale occasione e così via dando forma ad un tassello che va ad incastrarsi perfettamente nel quadro dei bei ricordi.
Ad oggi esistono davvero tantissimi titoli in grado di offrire esperienze cooperative e competitive appaganti ma c’è un piccolo sottomondo in cui l’esperienza multigiocatore oltrepassa i classici schemi del genere e ci riporta indietro nel tempo, proprio a quei momenti in cui stavamo davanti alla tv con l’unica differenza che il nostro partner di gioco può trovarsi anche a molti chilometri di distanza da noi.
Di recente ho avuto modo di giocare a It Takes Two in diretta su Twitch insieme all’entusiasta Vuodka (potete consultare il nostro archivio cliccando qui) e non mi ha affatto stupito vederlo vincere prestigiosi titoli come il Game of The Year, Best Multiplayer e Best Family ai The Games Awards 2021; semplicemente perché Hazelight Studios, già conosciuto per Brothers e A Way Out, è riuscito ad intrappolarci in un’avventura che ci ha toccati proprio a livello umano.
It Takes Two unisce egregiamente una serie di elementi calzanti quanto canonici come un ricco e variegato gameplay, la storia di un amore sbiadito tra May e Cody, un comparto tecnico degno di un tripla AAA; apparentemente nulla di diverso da quello che potremmo trovare in altri G.O.T.Y.
Dunque qui vi chiedo: quanti giochi ci hanno fatto commuovere negli ultimi anni e quanti, invece, sono riusciti a farlo coinvolgendoci in un reale impegno di coppia con il fine di ricostruire qualcosa che sembrava definitivamente perduto?
La risposta implica in realtà un numero imprecisato di emozioni che variano da giocatore in giocatore, per alcuni It Takes Two potrebbe essere fin troppo smielato per suscitare in loro qualcosa, ai più sensibili potrebbe invece strappare più di una lacrima; ciò nonostante il gioco incentiva il lato più genuino della cooperazione, ponendoci di fronte un numero imprecisato di ostacoli che risulterebbero impossibili da superare senza l’aiuto di una spalla fidata. Non esiste quindi un premio per chi ha fatto di più rispetto all’altro, il concetto di “singolo” viene propriamente messo in secondo piano per un obiettivo ed una soddisfazione comune.
Durante il corso di questa avventura ho compreso come l’essere posti tutti sullo stesso livello in qualche modo sia riuscito a farmi tornare bambino e come tale a farmi perdere con spensieratezza in un mondo più grande di me, ricco di semplici passatempi, colori vibranti, personaggi curiosi, musiche da creare ed ascoltare. Tutto ciò senza mai perdere di vista il tema serio quale è il divorzio tra May e Cody, affrontato con un tatto ed un’ironia disarmante ma senza mai essere banalizzato, con momenti di riflessione tali da avermi riportato per qualche frangente con i piedi nella realtà per poi rigettarmi nuovamente negli argillosi lineamenti di uno dei due protagonisti.
It Takes Two mi ha fatto riscoprire qualcosa che era rimasta sopita negli anni dentro di me, ovvero quella concezione di divertimento leggero fatto di scoperte e voglia di stare insieme, di insegnamento e consapevolezza che la storia sarebbe prima o poi volta al termine.
Ancora una volta mi sono trovato di fronte a quella sottilissima linea che divide il mondo videoludico da quello in cui vivo realmente, senza la vergogna di essermi lasciato trasportare eccessivamente dalle emozioni poichè l’arte può alle volte metterci a nudo di fronte a queste.
Ben vengano altri mille di questi momenti.